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gli attacamenti

I primi insegnamenti buddisti si focalizzarono sulla caducità di tutte le cose. Il Budda si rese conto che nulla resta uguale in questo mondo, tutto è in uno stato di costante cambiamento. Il Budda vide che la causa della sofferenza stava proprio nell’ignoranza della natura del cambiamento stesso. Desideriamo restare attaccati a ciò che per noi ha valore, e soffriamo quando l’inevitabile processo di cambiamento della vita ci separa da queste cose. Dunque, egli pensò, ci si libera dalla sofferenza quando si elimina l’attaccamento alle cose transitorie di questo mondo. Se la vita è sofferenza e il mondo è un luogo pieno d’incertezza, l’emancipazione risiede nel liberarsi dall’attaccamento alle cose e alle preoccupazioni mondane, conseguendo un’Illuminazione trascendente. Il Sutra del Loto, sul quale si basa l’insegnamento di Nichiren Daishonin, è rivoluzionario perché ribalta quest’orientamento, capovolgendo le premesse alla base degli insegnamenti iniziali del Budda, puntando invece l’attenzione sulle infinite potenzialità della vita in sé e sulla gioia di vivere proprio in questo mondo. Negli insegnamenti del Sutra del Loto ogni individuo è intrinsecamente e originariamente un Budda. Attraverso la pratica buddista sviluppiamo le nostre qualità illuminate e le esercitiamo nel mondo qui e ora, per il bene degli altri e con l’intento di trasformare positivamente la società. La vera natura della nostra vita è di libertà e potenzialità infinite ora. Questo sensazionale cambiamento di direzione, compiuto dal Sutra del Loto, è racchiuso nel concetto chiave, apparentemente paradossale, del Buddismo di Nichiren Daishonin secondo cui “i desideri terreni sono Illuminazione” e “le sofferenze di nascita e morte sono nirvana”. L’immagine del puro fiore di loto che sboccia nello stagno fangoso è una metafora che racchiude questa visone: libertà, emancipazione, Illuminazione vengono forgiate ed espresse nel bel mezzo del sudicio pantano della vita, con i suoi problemi, sofferenze e contraddizioni. È impossibile vivere senza attaccamenti o eliminarli: l’affetto per gli altri, il desiderio di riuscire negli sforzi fatti, gli interessi, le passioni, l’amore per la vita, tutti questi sono attaccamenti e potenziali fonti di delusione e sofferenza, ma sono anche la sostanza stessa della nostra umanità e gli elementi per una vita impegnata e realizzata.

bene e male

La visione buddista considera il bene e il male come aspetti inseparabili e connaturati alla vita. Questa visione rende impossibile catalogare un particolare essere vivente come “buono” o “cattivo”. Il bene e il male, inoltre, non sono considerati assoluti, ma relativi: il positivo o il negativo di un’azione viene valutato nei termini del suo effetto sulle vite nostre o degli altri, non in base ad astratte regole di comportamento.Fusce accumsan enim et arcu.Le azioni malvagie sono quelle fondate sull’egoismo: esse nascono dall’illusione che la nostra vita sia separata da quella degli altri e che noi possiamo trarre benefici a discapito degli altri. Il “male” considera la vita come uno strumento da usare, non come un fine in sé: un fine assoluto cui è dovuto il massimo rispetto. Il “bene” è ciò che crea un legame tra noi e gli altri, sanando e recuperando i legami profondi nelle comunità umane. Nel Buddismo, il “bene” viene identificato con “la natura fondamentale dell’Illuminazione”, che possiamo anche definire come la libertà e la felicità assoluta che nascono da una profonda conoscenza di sé. Il “male” è “l’oscurità fondamentale”: l’illusione radicata nella vita stessa che nega l’esistenza della Buddità causando sofferenza a sé e agli altri. “L’oscurità innata” è evidente nel senso di disperazione che nasce dal sentire la propria vita priva di un significato profondo. Essa inoltre – negando l’interrelazione tra tutte le forme vitali – insinua quel tipo di paura che alla fine divide i cuori delle persone in “io” e “ gli altri” o “noi” e “loro”. Un Budda è qualcuno che ha il coraggio di accettare questi due fondamentali aspetti della vita.